Pagina 9 di 9 Della passera dei santi
Non tenebrosa come l'Acherontia - benché sfinge e parente - ma latrice di pace, messaggiera di speranze: portanovelle, passera dei Santi, col mattino chiarissimo di giugno penetrò nella mia stanza tranquilla la macroglossa rapida. L'illuse questa banda di sole, questa rosa vermiglia che rallegra le mie carte, turbinò prigioniera visitando le dipinte ghirlande del soffitto, rapida giù per le finestre aperte si dileguò come da corda cocca. Certo in giardino la ritroveremo sul caprifoglio che ricopre i muri d'una cortina folta innebriante. Eccola in opra sui corimbi; guizza da fiore a fiore come una saetta, sosta, si libra, immobile nell'aria, immerge la proboscide nel calice, e il corpo appare immoto nell'aureola dell'ali rivibranti: spola aerea, prodigio di sveltezza equilibrata! Tutto - nel capo aguzzo, nelle antenne reclini sotto i palpi, nelle zampe brevi aderenti al corsaletto lustro, nell'addome sfuggente affusolato, munito d'una spata di pelurie mobile forte come cocca espansa atta a guidare e a mitigare il volo - tutto s'affina nella macroglossa a fender l'aria, vincere lo spazio visitare i giardini più remoti in brev'istanza, messaggiera arcana da fiore a fiore. E i fiori si protendono verso l'insetto, come ad un'offerta. Amica, sotto il nostro sguardo ignaro si celebra tra il fiore e la farfalla il rito più mirabile, il mistero più tenero: le nozze floreali. «Mariti uxores unoeodemque thalamo gaudent...», Linneo meditabondo scrive. Degli sposi gran parte nasce vive ama nel tabernacolo smagliante della stessa corolla; sul pistillo giunge dall'alto degli stami il bacio desiderato, il polline fecondo. Ma dopo esperïenze millenarie molti fiori s'avvidero che il bacio nella stessa corolla, che lo stimma fecondato dal polline fraterno, conduceva la stirpe in decadenza, e vollero l'amplesso dell'amante lontano e meditarono le nozze non possibili. Alcuni, gli anemofili affidarono i baci d'oro al vento; gli entomofili vollero gli insetti paraninfi discreti e vigilanti. Ma il fiore - che sa tutto - non ignora che vano è al mondo attendere conforto se non da noi, che la farfalla esiste pel suo bene soltanto e la sua specie; ed ecco le scaltrezze del richiamo: i colori magnifici, i profumi ineffabili, il nettare che il fiore distilla in fondo al calice, a compenso del messaggio d'amore, per attingere la coppa ambrosia con la sua proboscide, la macroglossa deve tutti compiere i riti delle nozze floreali. Dall'epoca dell'arco e della clava ai giorni più recenti del telaio, del paranco, del fuso , dell'ariete, quando - e fu ieri - nostre meraviglie erano l'archibugio e l'orologio, i piccoli inventori propagavano la specie con mirabili congegni: l'elica rapidissima, il velivolo dell'acero, del tiglio, il vagabondo paracadute argenteo del cardo, la capsula esplosiva dell'euforbia, l'arma della mormodica potente, il gioco delle valvole, dei tubi intercomunicanti d'Archimede bene eseguito dalle piante acquatiche, l'ampolla chiusa, i piani inclini della ginestra, i raffi che lo scantio aggancia al pelo od alla veste del passante, tutti gli ordegni meditati, tutti gli accorgimenti per coperte vie, adatti a propagare la semenza schiusa dall'ombra torpida materna. Questo popolo verde che ci appare inerte e rassegnato, è il più ribelle alla fatalità che lo condanna in terra, dalla nascita alla morte. Un desiderio senza tregua, come di trasformarsi, sale dalla tenebra delle radici, grida nella luce delle corolle, cerca la sua legge: liberarsi, fuggire, modulare l'ali, imitare le farfalle al volo. A tante meraviglie il nostro vano orgoglio mal s'oppone col sofisma che l'intesa tra il fiore e la farfalla è fissa, che il mirabile congegno non muta. Ma il convolvo domestico abolisce il nettario, più non chiama la macroglossa da che sente l'uomo paraninfo sicuro e vigilante; altri fiori depongono gli aculei, il latice, i viticci, da che l'uomo li difende li guida li sorregge. I fiori precedettero gli insetti sulla terra nel tempo delle origini; questa sola certezza ci rivela un'intesa tra il fiore e la farfalla, ci rivela che i piccoli inventori sovvertono le leggi ed i modelli. All'apparire della macroglossa il caprifoglio congegnò se stesso all'indole dell'ospite imprevista. Altri dica: è Natura, e non il fiore, è Natura che fa tanto sottili provvedimenti! Menoma per questo forse il fervore della nostra indagine? Un enimma più forte ci tormenta: penetrare lo spirito immanente, l'anima sparsa, il genio della Terra, la virtù somma (poco importa il nome!), leggere la sua meta ed il suo primo perché nel suo visibile parlare. Per chi cerca il volume a foglio a foglio il genio della Terra - il genio certo dell'Universo intero - si comporta non come Dio ma come Uomo, attinge le stesse mete con gli stessi metodi: tenta s'inganna elimina corregge sosta dispera spera come noi; scopre ed inventa lento come il fisico, calcola incerto come il matematico, orna la terra come il buono artista. Come noi lotta con la massa oscura pesante enorme della sua materia; non sa meglio di noi dov'esso vada, agogna verso un ideale solo: elaborare tutto ciò che vive in sostanza più duttile e sottile, trarre dalla materia il puro spirito. Dispone d'alleanze innumerevoli, ma le sue forze intellettive sono pari alle nostre, nella nostra sfera. E se non sdegna gli argomenti umani, se tutto ciò che vibra in noi rivibra in lui; se attende come noi quel Bene sommo che la speranza ci promette, giusto è pensare che su questa Terra la traccia nostra non è fuor di strada, giusto è pensare che un'intelligenza sola, universa, sparsa ed immanente penetra in guisa varia i corpi buoni men buoni conduttori dello spirito; giusto è pensare che tra questi l'uomo è lo stromento dove più rivibra la grande volontà dell'Universo. Se la Natura mai non s'ingannasse e tutto conoscesse e ovunque e sempre rivelasse un ingegno senza fine, noi dovremmo temere dell'enigma, vacillare tremanti e sbigottiti; ma il genio della Terra e il nostro spirito attingono fraterni a una sorgente sola; noi siamo nello stesso mondo ribelli alla materia, eguali, a fronte non di numi tremendi inaccessibili ma di fraterne volontà velate. Amica, forse troppo a lungo e troppo superbamente noi c'immaginammo creature divine incomparabili senza parenti sulla Terra. Meglio ritrovarsi tra i fiori e le farfalle, essere peregrin come son quelli, verso la meta sconosciuta e certa. Certa è la meta. Com'è dato leggere tutto il destino della Macroglossa in ogni parte del suo corpo aereo foggiato ad eternare la bellezza d'una fragile stirpe floreale, chiaro si legge il compito dell'uomo nel suo cervello e nei suoi nervi acuti. Nessuno s'ebbe più palese il dono d'elaborare la materia sorda in un'essenza non mortale: anelito di tutto ciò che vive sulla Terra fluido strano ch'ebbe nome Spirito, Pensiero, Intelligenza, Anima, fluido dai mille nomi e dall'essenza unica. Tutto di noi gli è dato in sacrificio: la ricchezza del sangue, l'equilibrio degli organi, la forza delle membra, l'agilità dei muscoli, la bella bestialità, l'istinto della vita.
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