«Li abbiamo fermati. Partita chiusa»: il lapidario
commento del segretario di Rifondazione, Giordano, sembra riassumere
bene il senso dell'incontro di Caserta e, soprattutto, chiarisce chi
siano i vincitori. Prodi ha indicato un vaste programme (avrebbe detto
De Gaulle) che delinea la direttiva di marcia del governo. Di questo
programma che parla di crescita, di infrastrutture (ma che succederà
alla Tav?), eccetera, i punti salienti sembrano riguardare il forte
impegno di spesa per il Mezzogiorno e la decisione di non fare la
riforma dello «Stato sociale » (pensioni incluse) senza averla prima
concordata con le parti sociali, con i sindacati.
La «fase due», per la quale si erano spesi Fassino e Rutelli,
è archiviata, come volevano sia Prodi che l'ala massimalista della
coalizione. E’ stata rinviata (ossia, tolta dall’agenda politica)
quella riforma delle pensioni che solo poche settimane fa era stata
indicata come lo strumento della riscossa riformista, di riforma della
pubblica amministrazione non si dice nulla, e anche le liberalizzazioni
subiscono uno stop, essendo state delegate, su richiesta di Rutelli, a
un’apposita «cabina di regia». Ed è noto che ci si affida alle cabine
di regia quando ci sono disaccordi al momento insormontabili che si
spera di comporre con il tempo.
Domanda: come mai i riformisti hanno rinunciato a combattere?
Forse la spiegazione sta nei numeri, e cioè negli eccellenti conti
dello Stato. Non solo già prima dell'estate, con il governo appena
insediato, era saltato fuori un inaspettato e forte incremento del
gettito fiscale, ma ora si scopre addirittura che c'è stato anche un
eccezionale miglioramento del deficit italiano: al punto che già per il
2006 l'Italia è scesa sotto il 3% (del rapporto deficit/ Pil, secondo
Maastricht). Per inciso, forse i tanti che avevano parlato di «disastro
economico» provocato dal governo del centrodestra dovrebbero chiedere
scusa all’ex ministro dell’Economia, Tremonti: il disastro,
manifestamente, non c'era.
Forse i riformisti si sono detti: con questi numeri ci
potrebbe essere crescita economica anche senza bisogno di impegnarsi in
logoranti guerre con sindacati, massimalisti e lobbies varie per
riformare in profondità Stato sociale, pubblica amministrazione,
eccetera. E se arriverà la crescita economica, i consensi per il
centrosinistra torneranno a salire senza bisogno di riforme
politicamente costose.
Ma forse c'è anche un’altra spiegazione. Quanto è
accaduto a Caserta sembra la conferma di ciò che l'economista Nicola
Rossi ha detto abbandonando i Ds: il riformismo, secondo Rossi, è in
quell'area politica una pianta ormai essiccata. Forse è vero, tutto
sommato, quanto dice Prodi, ossia che la contrapposizione
massimalisti/riformisti sia solo una semplificazione giornalistica
(nella quale, per alcuni mesi, ha creduto anche chi scrive). Forse,
semplicemente, i «riformisti» non esistono o sono troppo deboli e
dispersi per avere voce in capitolo. Come pensa, appunto, Rossi.
Forse bisognerebbe dare un’occhiata più attenta alla
natura di quei partiti (e alle aspirazioni dei loro militanti e dei
loro elettori) che siamo soliti chiamare «riformisti». Se non altro,
perché è così che si sono sempre autodefiniti.